CONTRATTI ATIPICI


(Così atipici, ma tanto tipici)

Sono circa 30mila i giornalisti precari o freelance e guadagnano una media di 7mila euro annui;
oltre il 70% delle nuove assunzioni sono con contratti a termine anche della durata di un solo mese.

I problemi del precariato nel mondo giornalistico sono tutti legati  alla formazione professionale,
all’ingresso e al rientro nel mercato del lavoro e al turn over bloccato.

In un panorama diversificato di figure contrattualizzate e freelance, manca qualsiasi possibilità di
scambio dei ruoli. La precarietà viene troppo spesso confusa con la flessibilità.

Invece, deve essere possibile scegliere sia l’esercizio della libera professione, sia il lavoro in redazione.
Tra contratti a cessione del diritto d’autore, partita Iva, CO.CO.CO. continuano a nascondersi legami
di dipendenza, contratti non scritti, cui però si associano solo le peculiarità negative: vedi i costi di
gestione, dalle telefonate al computer ai trasporti.
 

I giornalisti precari pagano per conto proprio l’Inpgi 2, che è obbligatorio, e la Casagit 2, che non è
obbligatoria. Ma vivono di fatto come dipendenti, soggetti a un orario e a impegni verso la testata che
però non tengono conto delle festività e spesso hanno contratti a scadenza annuale. Eppure non hanno
diritto a ferie né a TFR, né a qualsiasi tipo di beneficio che non venga dall’editore per sua iniziativa,
rafforzando così il rapporto di “sudditanza” che ricorda l’era feudale. Nelle piccole realtà editoriali la
questione si aggrava ed è più difficile organizzare e adire a forme di lotta sindacale. I giornalisti con
contratti atipici e ambigui non hanno diritto ad ammalarsi e neppure a fare figli, se donne, o ad assisterli,
se uomini.
 

Il giornalista in queste condizioni spesso non è considerato professionalmente, non è stimato, non è
motivato. Non ha occasioni di formazione o esperienza. Se non è pubblicista nessuno l’aiuta a
diventarlo, se non è professionista, l’editore non ha interesse che lo diventi.
 

Ognuna delle figure istituzionali preposte deve recuperare il suo ruolo: gli editori tornare
all’imprenditoria editoriale, l’Ordine vigilare sulla disciplina del lavoro, il sindacato fissare le regole
contrattuali e verificare la loro applicazione, i giornalisti recuperare il senso di appartenenza alla
categoria. Presi dalle mille sfaccettature del problema occupazionale per i giornalisti di carta stampata,
radio e tv, si corre inoltre il rischio di trascurare internet e le nuove tecnologie. Con i suoi 137
milioni di euro di pubblicità per il 2005 (dati Nielsen) il mondo dell’informazione in rete è in crescita
e nasconde vere sacche di lavoro giornalistico nero: un’industria con costi di produzione ridotti e
margini di crescita elevati; un terreno di coltura fin troppo fertile per i nuovi precari.

La strada unica, per tutti i tipi di giornalismo e quindi per tutto quelli che lavorano nel settore
dell’informazione, è quella di creare un mercato esterno forte sia dal punto di vista delle
regole, sia dal punto di vista economico
fondato su criteri meritocratici.
Per far questo occorre che il giornalista, qualunque tipo di giornalismo eserciti, non dimentichi la deontologia.

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