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SENZA BAVAGLIO E’ TUTTO UN ALTRO ORDINE


Senza Bavaglio affronta la tornata elettorale nel segno di un rinnovamento
profondo, indispensabile e urgente.

La questione dell’Ordine non è facile da affrontare. Luigi Einaudi, il 12
novembre 1945, scriveva: "Giornalisti sono tutti coloro che hanno qualcosa
da dire o si sentono di esprimere la stessa idea che gli altri dicono o
presentano male. L'albo è un comico nonsenso. Non esiste un albo di poeti e
non può esistere un albo di giornalisti". All’estero i colleghi non hanno
Ordine e albo, eppure la stampa straniera non è peggiore della nostra.

D’altra parte c’è la preoccupazione di assicurare regole, a chi svolge
questa professione, e garanzie, a lettori, spettatori, ascoltatori. Con
questo Ordine non sono rispettate né regole, né garanzie. Assistiamo a un
boom della cattiva informazione e della disinformazione, del servilismo nei
confronti degli azionisti e dei potenti, della subordinazione al marketing e
alla pubblicità, delle scopiazzature, del trash, del mobbing in redazione. E
con internet, i blog, il citizen journalism i problemi tendono a crescere.

Distratto e impotente, se non complice, l’Ordine si è trasformato in un
alibi, in una roccaforte di potere, e in una catena di produzione di nuovi
giornalisti, spesso senza arte né parte, sfornati solo in vista di possibili
voti elettorali.

Nelle scuole di giornalismo ci sono evidenti commistioni d’interessi.
Consiglieri degli Ordini fanno gli insegnanti nelle scuole che loro stessi
hanno contribuito a riconoscere. Una vera indecenza che non riguarda i
singoli, bensì l’istituzione.

Il motivo essenziale delle disfunzioni è la struttura corporativa, che ha
trasformato l’Ordine in un carrozzone gestito da clan locali e lo ha portato
a chiudere gli occhi su scandali e degenerazioni. Dato che cane non mangia
cane, è assurdo sperare che giornalisti possano controllare altri
giornalisti o illudersi che un collega possa mettere sotto accusa chi gli
lavora accanto o il proprio direttore.

Una cosa è la difesa dei giornalisti, affidata al sindacato, un’altra è la
difesa del giornalismo - e dunque della professionalità, dell’etica, della
legalità, della libera concorrenza economica, della democrazia. Il controllo
sui mass media deve essere affidato a un organismo nuovo, una sorta di Gran
Giurì dell’Informazione, in cui i giornalisti siano in minoranza, sia
rappresentata la società intera, ma sia esclusa la politica.

Questo organismo avrà compiti di tutela della deontologia e dell’onestà
dell’informazione, terrà un elenco dei giornalisti e avrà il potere
d’infliggere sanzioni a giornalisti, direttori, editori.

Noi riteniamo che l’editore debba essere considerato responsabile anche sul
piano economico con il direttore e il giornalista. Se l’editore assume un
reporter poco preparato (da retribuire poco) o un fedelissimo ma stupido, ne
paghi le conseguenze.

Una riforma di questo tipo richiede un dibattito ampio fra tutti noi e
implica altre riforme, poiché all’Ordine sono legati a cascata l’Inpgi, la
Casagit e il Fondo complementare.

Riflettere su un cambiamento profondo non significa rinviare la soluzione di
tutti i problemi alla futura riforma. Ci sono correzioni possibili subito:
interventi di pulizia e moralizzazione dell’Ordine attuale e lotte per
evitare che la professione sprofondi sempre più nella burocratizzazione, nel
fiscalismo e nella soggezione al potere politico ed economico.

Lotteremo contro l’imposizione della laurea per esercitare il giornalismo.
Contro l’obbligo, per affrontare l’esame di Stato, di frequentare un corso a
pagamento organizzato dall’Ordine dei giornalisti, una gabella, che
favorisce mafie e consorterie.

Le scuole riconosciute dall’Ordine sono troppe. Non rispondono alle esigenze
del mercato e sono corresponsabili del mancato riassorbimento dei
disoccupati, del loro aumento, della sotto occupazione e dell’impiego
massiccio degli stagisti, utilizzati al posto di contratti di sostituzione.
La maggior parte va chiusa e non se devono aprire di nuove.

In nome dell’etica e del buon gusto, chiederemo le dimissioni dei
consiglieri regionali o nazionali, che hanno incarichi retribuiti nelle
scuole di giornalismo.

Chiederemo informazioni sui metodi di assegnazione degli incarichi, sul
curriculum esibito da chi insegna e sui compensi di ogni docente.

Chiederemo quali sono le modalità di nomina a commissario dell’esame di
Stato, verificandone la correttezza e la trasparenza.

Combatteremo la palese subordinazione al marketing e alla pubblicità.

Proporremo un patto per realizzare ciò che la legge ancora non prevede:
limitare a due i mandati consecutivi dei presidenti e dei vicepresidenti
degli Ordini Regionali e di quello Nazionale e vietare il cumulo delle
cariche per gli eletti (Ordine, Sindacato, Inpgi, Casagit).

Chiederemo che ogni Ordine regionale sia tenuto a rendere pubblica la
condizione giuridica della sede (di chi è la proprietà? Quanto è stata
pagata? Quando è stata comprata? Come? E da chi? In affitto? Chi è il
proprietario? A quanto ammonta il canone?).

Proporremo che venga creata una commissione, della quale faranno parte anche
giornalisti, con il compito di valutare se un editore rispetta regole e
contratti di lavoro ed è degno di ricevere le provvidenze pubbliche per
l’editoria.

Punteremo alla massima trasparenza sollevando dal segreto chiunque voglia
dissociarsi da decisioni non condivise su sentenze disciplinari.

Un Ordine cristallino è la nostra parola d’ordine.

La nostra filosofia giornalistica si ispira a Joseph Pulitzer, quando
sostiene: “Non esiste delitto, inganno, trucco, imbroglio e vizio che non
vivano della loro segretezza. Portate alla luce del giorno questi segreti,
descriveteli, rendeteli ridicoli agli occhi di tutti e prima o poi la
pubblica opinione li getterà via. La sola divulgazione di per sé non è forse
sufficiente, ma è l'unico mezzo senza il quale falliscono tutti gli altri”.
Lo chiediamo ai giornali, lo pretendiamo dall’Ordine.

Senza Bavaglio



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