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LE NOSTRE OPINIONI


Elaborare i dati per capire a quale rischio sono esposti i giornalisti (di Amelia Beltramini, candidata di Senza Bavaglio)

 

Per limitare gli interventi dannosi (e inutili) (di Margherita Fronte, candidata di Senza Bavaglio)

 

Freelance e leggende metropolitane (di Luisa Espanet, candidata di Senza Bavaglio)

 

 

Elaborare i dati per capire a quale rischio sono esposti i giornalisti
(di Amelia Beltramini)


La Casagit gestisce una mole enorme di dati. Inutilmente. Perché allo stato
attuale tutti questi dati, non elaborati, non dicono nulla delle patologie
di cui soffrono i giornalisti.

Abbiamo dovuto aspettare uno studio fatto dagli epidemiologi dell'Università
di Torino per sapere che i giornalisti non sono fra i lavoratori più sani. E
addirittura che la durata della vita media di un giornalista è inferiore a
quella di medici, avvocati e notai. Quasi un anno di vita perso. Tradotti i
numeri in concetti, gli epidemiologi di Torino hanno detto che la vita che
fa l'avvocato, il notaio e il medico è più sana della vita che fa il
giornalista.

Il perché lo studio non lo dice, ma non ci vuole molta fantasia per
immaginare a cosa attribuire questo accorciamento della nostra vita media.
Facciamo orari irregolari, chi lavora nei quotidiani ha il turno notturno
che può compromettere l'alternarsi dei ritmi sonno-veglia causando squilibri
alimentari o insonnia. Tutti mangiamo in modo irregolare, raramente
consumiamo i pasti in famiglia, la nostra dieta, ne consegue, è povera di
frutta e verdura, antiossidanti necessari per proteggere l'organismo, non
sostituibili con pastiglie di vitamine.

Spesso gran parte dell'apporto calorico è dato dai prodotti da forno dei
distributori e dalle brioche del bar, dal panino sbocconcellato alla
tastiera: il comune denominatore di tutti questi sono i grassi vegetali
idrogenati che, secondo gli studi più recenti, sono peggio del colesterolo.
Lo stress, sempre presente, in chiusura si fa martellante, e questo sia nei
quotidiani, sia nei mensili e nei settimanali in cui "l'invio" fa le veci
della chiusura. Allo stress si risponde con l'aumento delle sigarette
fumate. In alcuni casi con l'alcol o addirittura con una pista. Il lavoro è
per lo più sedentario, svolto ormai fra telefono e monitor. E finito il
lavoro ci si rifugia nella poltrona di casa, la pace è spesso sinonimo di
sedentarietà.

Non stupisce allora che i giornalisti abbiano una vita più breve di medici,
avvocati e notai. E si può anche prevedere, in attesa degli esami dei dati
della Casagit, che questo stile di vita porti ad un aumento di una serie di
patologie: soprappeso, malattie croniche come il diabete, malattie del
sistema cardiocircolatorio, tumori, Alzheimer, perdita precoce
dell'autonomia.

E man mano che l'età media dei giornalisti aumenta, queste patologie
peseranno sempre di più sui bilanci della Cassa.

Per migliorare la salubrità della vita dei giornalisti bisognerebbe intanto
effettuare un'attenta revisione delle patologie di cui soffrono e in base ai
risultati predisporre interventi di prevenzione. Che non vuol dire, come i
più credono, un numero maggiore di esami diagnostici, ma vuol dire una
maggiore attenzione al rischio personale in base alle patologie più
frequenti che hanno colpito i propri antenati; alla qualità
dell'alimentazione nelle mense aziendali, dei distributori automatici di
alimenti; la disponibilità di un numero maggiore di dietologi e di medici
dello sport per curare l'attività fisica e anche facilitando
l'organizzazione di associazioni per l'attività fisica con qualsiasi mezzo:
a piedi, sugli sci, o in bicicletta.

Il denaro speso in questo tipo di prevenzione non può che trasformarsi in un
risparmio sui costi per farmaci e interventi medici. Ma una Casagit moderna
non può limitarsi a rimborsare, a piè di lista, le spese sostenute dai
singoli soci senza domandarsi cosa può ricavare dall'enorme massa di dati
che gestisce. Dati che, elaborati, potrebbero dire quali sono le vere
esigenze di salute della categoria.

Amelia Beltramini

 

 

Per limitare gli interventi dannosi (e inutili)
(di Margherita Fronte
)


5.430 euro per eliminare i calcoli biliari; 3.650 per togliere le emorroidi,
e 2.850 per asportare di tonsille e adenoidi. Sono cifre importanti, quelle
che la Casagit destina al rimborso degli interventi chirurgici “elettivi”
(cioè, programmati da tempo e non urgenti). Spesso però si tratta di
interventi inutili, dannosi per il paziente (perché nessuna operazione è
priva di rischi), e costosi per la Cassa.

È opinione comune fra gli esperti che, per limitare il numero di interventi
inutili, sia utile consultare un secondo medico, che abbia possibilmente una
specializzazione diversa da quella di chi ha consigliato l’operazione.
Il Piano nazionale linee guida (Pnlg), dell’Istituto superiore di sanità,
sottolinea che «nel caso in cui si prospetti l’eventualità di un intervento
chirurgico è opportuno richiedere un secondo parere, in modo da acquisire un
supplemento di informazione e poter dare un consenso più informato».

L’utilità di questa consuetudine, che in Italia stenta ad affermarsi, è
confermata dai dati: negli Stati Uniti, dove la richiesta del secondo parere
è diventata una prassi, l’isterectomia (asportazione dell’utero), l’asportazione della
prostata e la chirurgia del menisco non sono confermate dal secondomedico solo nel
40% dei casi; il raschiamento dell’utero, la cataratta el’asportazione delle tonsille solo nel 30%.
E non è tutto: è stato dimostrato che, rispetto ai medici e ai loro familiari, la
popolazione generale si sottopone più spesso all’asportazione delle
tonsille, dell’ernia inguinale, dei calcoli biliari, delle emorroidi.

E più frequente è anche il ricorso al raschiamento dell’utero e all’isterectomia
(un intervento, quest’ultimo, per cui la Casagit prevede un rimborso
forfettario di 6.975 euro, in caso di isterectomia semplice, e di 7.230 euro
per l’isterectomia con annessiectomia, cioè l’asportazione degli annessiall’utero).

La differenza fra medici e popolazione generale è dovuta al fatto che
i primi hanno più informazioni e sanno che la comunità scientifica non è
d’accordo sull’opportunità di ricorrere a questi interventi.
Per esempio, diversi pazienti con ernia al disco si sottopongono alla
fusione vertebrale senza trarne alcun giovamento.
Incentivare la richiesta del secondo parere all’interno della Casagit
consente prima di tutto migliorare la qualità dell’assistenza, ma anchedi ridurre le spese.

In accordo con le indicazioni già formulate anche nell’ambito del Pnlg, il
secondo parere sarebbe particolarmente indicato per i seguenti interventi
chirurgici:
- l’asportazione di calcoli biliari (colecistectomia);
- l’asportazione di emorroidi (emorroidectomia);
- l’asportazione chirurgica dell’utero (isterectomia) quando l’indicazione
non è una malattia tumorale;
- l’operazione dell’ernia inguinale;
- l’asportazione delle tonsille (tonsillectomia);
- il raschiamento dell’utero;
- l’operazione della prostata quando l’indicazione non è una malattia
tumorale;
- l’asportazione del menisco;
- l’operazione alla cataratta;
- l’asportazione delle vene varicose (varici);
- l’operazione dell’ernia discale quando non esistono paralisi agli arti
inferiori e/o alla vescica e all’intestino.

Margherita Fronte

 

 

Freelance e leggende metropolitane
(di Luisa Espanet)

Perché un freelance dovrebbe avere la Casagit?
Dato che non ha vincoli di orari e di conseguenza gode di molto tempo libero può
affrontare le code e i disagi dell'assistenza ASL. Per lo stesso motivo può viaggiare,
andare in località più salubri, lontano dall'inquinamento. D'altra parte il freelance non
può ammalarsi per definizione. Se si ammala perde automaticamente il suo ruolo,
non è un giornalista malato, ma solo un malato.

Il suo uso della Casagit può limitarsi unicamente alla prevenzione, e quindi è del tutto superfluo.
È evidente che i freelance che si iscrivono alla Casagit lo fanno per status symbol, deprecabile,
ma umanamente comprensibile, come iscriversi a un Club del golf (per chi non gioca) o al Rotary.
Nel loro budget è un optional di lusso. È naturale quindi che la Casagit per stabilire la quota che i
freelance devono versare, contempli solo tre fasce di reddito con differenze anche minime tra le quote.

La prima, sicuramente numerosissima soprattutto tra i giovani, comprende i freelance con reddito sopra i
100 mila euro l'anno; la seconda quelli fra i 70 e i 100 mila euro. La terza quelli con reddito sotto i 70 mila
euro, cioè quei peones che da veri arrampicatori sociali e autentici snob, nel senso etimologico della parola,
sono pateticamente disposti a sacrifici e rinunce pur di appartenere a un club elitario come la Casagit.

Luisa Espanet
P.S. Naturalmente tutto questo è uno scherzo e noi vogliamo che la Casagit riesca ad adeguare se stessa e
diventare la cassa si tutti i giornalisti, accessibile anche ai freelance.

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