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INTERCETTAZIONI/Quando la sinistra uccide la libertà di stampa (di Marco Travaglio)


06/05/07


Marco Travaglio ha scritto questo articolo per l'Unità.
Grazie per averci concesso di pubblicarlo in contemporanea
sugli e-group di Senza Bavaglio.

 

Caro lettore, quando tutto il Parlamento, tranne i soliti sei o sette cani
sciolti, approva una legge all’unanimità, di solito bisogna preoccuparsi.
Indulto docet. Questa volta è anche peggio.

L’altro ieri, in poche ore, con i voti della destra, del centro e della
sinistra (447 sì e 7 astenuti, tra cui Giulietti, Carra, De Zulueta,
Zaccaria e Caldarola), la Camera dei deputati
ha dato il via libera alla legge Mastella che di fatto cancella la cronaca
giudiziaria.

Nessuno si faccia ingannare dall’uso furbetto delle parole: non è una legge
“in difesa della privacy” (che esiste da 15 anni) nè contro “la gogna delle
intercettazioni”. Questa è una legge che, se passerà pure al Senato,
impedirà ai giornalisti di raccontare - e ai cittadini di conoscere - le
indagini della magistratura e, in certi casi, persino i processi di
primo e secondo grado.

Non è una legge contro i giornalisti. E’ una legge contro i cittadini.
Almeno contro quelli che vorrebbero essere informati: sugli scandali del
potere, come sul vicino di casa sospettato di pedofilia.

Vediamo perché.

Oggi gli atti d’indagine sono coperti dal segreto investigativo (il segreto
istruttorio, da tutti invocato, non esiste più dal 1989) finchè diventano
“conoscibili dall’indagato”. Da quel momento non sono più segreti e se ne
può parlare. Per chi li pubblica integralmente e testualmente, c’è un blando
divieto di pubblicazione, la cui violazione è sanzionata con una multa da 51
a 258 euro, talmente lieve da essere sopportabile quando le carte investono
il diritto-dovere di cronaca.

Dunque attualmente i verbali d’interrogatorio firmati dall’indagato e dal
suo avvocato, le ordinanze di custodia consegnate all’arrestato e al suo
legale, i verbali di perquisizione e sequestro notificati al perquisito e al
difensore, essendo non solo “conoscibili” ma anche conosciuti dall’indagato,
non sono segreti e si possono raccontare, ma anche, di fatto, riportare
testualmente (alla peggio si paga la mini-multa).

E’ per questo che, ai tempi di Mani Pulite, gli italiani hanno potuto sapere
in tempo reale i nomi dei politici e degli imprenditori indagati, e di cosa
erano accusati. E’ per questo che, negli ultimi anni, abbiamo potuto
conoscere subito molti particolari di Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli,
Vallettopoli, nonché dei grandi crac come Cirio e Parmalat e degli scandali
dello spionaggio Telecom e delle deviazioni del Sismi.

Fosse stata già in vigore la legge Mastella, Fazio sarebbe ancora al suo
posto, Moggi seguiterebbe a truccare i campionati, Fiorani a derubare i
correntisti della Bpl, Gnutti e Consorte ad accumulare fortune in barba alle
regole, Pollari e Pompa a spiare a destra e manca. Per la semplice ragione
che, al momento, costoro non sono stati arrestati né processati: dunque non
sapremmo ancora nulla delle accuse a loro carico.

Lo stesso vale per il possibile serial killer o il sospetto pedofilo, che
potranno continuare ad agire indisturbati, senza che i vicini di casa
sappiano di che cosa sono sospettati.

La nuova legge, infatti, da un lato aggrava a dismisura le sanzioni per chi
infrange il divieto di pubblicazione: arresto fino a 30 giorni (come prima)
o, in alternativa, ammenda da 10 mila a 100 mila euro (cifre che nessun
cronista è disposto a pagare pur di dare una notizia).

Dall’altro allarga à gogò il novero degli atti non più pubblicabili.
Anzitutto “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli
atti di indagine contenuti nel fascicolo del pubblico ministero o delle
investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino alla
conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza
preliminare”.

La notizia è vera e non é segreta, ma è comunque vietato pubblicarla: i
giornalisti la conosceranno, ma non potranno più raccontarla ai cittadini. A
meno che non vogliano rovinarsi, sborsando decine di migliaia di euro.

Non basta: è pure vietata la pubblicazione, anche solo nel contenuto, “della
documentazione e degli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a
flussi di comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati
riguardanti il traffico telefonico e telematico, anche se non più coperti da
segreto”. In pratica le intercettazioni – che hanno il pregio di fotografare
in diretta un comportamento illecito, o comunque immorale, o
deontologicamente grave – non potranno mai più finire sulle pagine di un
giornale.

Bontà loro, gli unanimi legislatori consentiranno ancora ai giornalisti di
raccontare che Tizio è stato arrestato, e perchè (anche per evitare strani
fenomeni di desaparecidos, come nel Sudamerica di qualche decennio fa o
nella Russia e nell’Iraq di oggi). Si potranno ancora riferire, ma solo nel
contenuto e non nel testo, le misure cautelari, “fatta eccezione per le
parti che riproducono il contenuto di intercettazioni”. Quelle sono troppo
chiare, dunque è meglio che la gente non le venga a sapere.

Se poi all’indagine segue il dibattimento, questo è, sì, pubblico. Ma fino a
un certo punto: “non possono essere pubblicati gli atti del fascicolo del
pm, se non dopo la pronuncia della sentenza d'appello”. Ecco, le accuse
raccolte dal pm (per esempio, nei processi Tanzi, Wanna Marchi, Cuffaro,
Cogne, Berlusconi etc.) si potranno conoscere dopo una decina d’anni da
quando sono state raccolte: alla fine dell’appello. Non è meraviglioso?

La legge modifica poi le aberrazioni del decreto Mastella varato in tutta
fretta dal governo dopo gli arresti alla Security Telecom per ordinare
l’immediata distruzione dei dossier illegali (cioè dei corpi del reato) di
Tavaroli & C.: il decreto era incostituzionale, come dissero subito Di
Pietro e fiori di giuristi e magistrati. Ma il Parlamento lo convertì
ugualmente. Ora è costretto a correre ai ripari: intercettazioni e dossier
illecitamente formati “non possono essere acquisiti nè in alcun modo
utilizzati (nemmeno come spunti di indagini!, ndr), tranne che come corpo di
reato” e vengono custoditi in un archivio riservato; quelli che non sono
corpo di reato vanno distrutti dopo 5 anni. E chi li pubblica rischia da 6
mesi a 4 anni di galera.

L’ultima parte della legge è una minaccia ai magistrati che indagano e
intercettano ”troppo”, come se l’obbligatorietà dell’ azione penale fosse
compatibile con criteri quantitativi o di convenienza economica: le spese
delle Procure per intercettazioni (che peraltro vengono poi pagate dagli
imputati condannati, ma questo nessuno lo ricorda mai) saranno vagliate
dalla Corte dei Conti per eventuali responsabilità contabili. Così, per non
rischiare di rispoderne di tasca propria, nessun pm si spingerà troppo in
là, soprattutto per gli indagati eccellenti.

A parte Il Giornale, nessun quotidiano ha finora compreso la gravità del
provvedimento. L’Ordine dei giornalisti continua a concentrarsi su un falso
problema: quello del “carcere per i giornalisti”, che è un’ipotesi puramente
teorica, in un paese in cui bisogna totalizzare più di 3 anni di reclusione
per rischiare di finire dentro. Qui la questione non è il carcere: sono le
multe. Molto meglio una o più condanne (perlopiù virtuali) a qualche mese di
galera, che una multa che nessun giornalista sarà mai disposto a pagare. Se
esistessero editori seri, sarebbero in prima fila contro la legge Mastella.

A costo di lanciare un referendum abrogativo. Invece se ne infischiano: meno
notizie “scomode” portano i cronisti, meno grane e cause giudiziarie avrà
l’azienda.

Mstella, comprensibilmente, esulta: “Un grande ed esaltante momento della
nostra attività parlamentare”. Pecorella pure: “Una buona riforma, varata
col contributo fondamentale dell’opposizione”. Vivi applausi da tutto
l’emiciclo, che è riuscito finalmente là dove persino Berlusconi aveva
fallito: imbavagliare i cronisti giudiziari.

Ma a stupire non è l’atteggiamento della cosiddetta Casa delle Libertà, che
facendo onore alla sua ragione sociale ha tentato fino all’ultimo di
aumentare le pene detentive, nonché le multe (fino al 500 mila euro), per i
giornalisti. E’ l’Unione, che nel suo elefantiaco programma elettorale aveva
promesso di allagare la libertà di stampa. Invece l’ha allegramente uccisa
con la gentile collaborazione del centrodestra.

Ma chi sostiene che nell’ultimo anno non è cambiato nulla, ha torto marcio.

Quando le leggi-vergogna le faceva Berlusconi, l’opposizione strillava e
votava contro. Ora che le fa l’Unione, l’opposizione non strilla, anzi vota
a favore. In vista del passaggio al Senato, cari lettori, cerchiamo di farci
sentire almeno noi. Giornalisti e cittadini. Finchè ce lo lasceranno fare.

Marco Travaglio




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