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L'ESPRESSO/Il nome di Eco contro Arosio (di Senza Bavaglio)

Non immaginavamo neppure da lontano che la redazione del
settimanale L'espresso, una delle voci più meritevoli del
panorama giornalistico e civico italiano, fosse composta
anche da "sicofanti" e da gente che fa addirittura
concorrenza a Renato Farina in comportamenti da "agente dei
servizi deviati".

Eppure a dirlo, anzi a scriverlo è nientepopodimenoché
Umberto Eco, per giunta proprio su L'espresso: per
l'esattezza, a pagina 87 del numero arrivato in edicola lo
scorso venerdì 16, dove si accusa in modo fin troppo
pesante il collega Enrico Arosio. Che, si noti bene, non è
un collaboratore qualunque, bensì il caporedattore di
Milano di quel settimanale.

In servizio a L'espresso fin dai tempi perduti di via Po a
Roma, vale a dire fin da quando il settimanale in questione
si chiamava ancora L'Espresso, con la E maiuscola anziché
minuscola come da qualche tempo, Arosio pur essendo
diventato caporedattore non è un culo di pietra: laurea di
tipo umanistico conseguita in Germania, spazia e scrive
ancora a tutto campo, cultura compresa.

All'autore de "Il nome della rosa" e di "Baudolino", da
decenni il più famoso collaboratore de L'espresso oltre
che il più famoso intellettuale italiano nel mondo, non
è però piaciuto come il collega ha riportato - sul
numero precedente - una cena mondano-culturale nella quale
l'altro ospite di gran nome era Günter Grass.

A Eco in linea di massima non gli si può non credere. In
linea di massima. Però in questa brutta faccenda c'è
qualcosa che non quadra, checché ne dica Eco.

Non quadra che il direttore responsabile de L'espresso abbia
permesso la pubblicazione di un testo così pesante senza
una propria replica e senza neppure una replica di Arosio,
privato così della possibilità di dire la sua e
difendersi. Ovvero: un collega è stato mandato al macello
legato mani e piedi e pure imbavagliato: per noi di Senza
Bavaglio è un po' troppo.

Non quadra che l'irricevibile missiva di Eco sia stata messa
non nella rubrica delle lettere al direttore, bensì
inserita nel settore Attualità, sotto forma di articolo
con tanto di titolo a tutta pagina: "Quella sera da Inge",
dove per Inge si intende Inge Feltrinelli. Non manca neppure
il corredo fotografico, realizzato con un bel primo piano
del "penzoso" Umberto dotato di occhialoni da studioso e
mezzo sigaro toscano d'ordinanza in bocca (spento, per
fortuna).

Non quadra che Arosio si sia volatizzato, risultando
improvvisamente in ferie. E' ovvio sospettare che queste
strane e inopportune ferie gli siano state imposte, perché
nessuno si imbavaglia e si eclissa davanti al nemico in
questo modo, lasciandosi scagliare addosso di queste
sassate.

Non quadra che il Corriere della Sera si getti a capofitto
sulla vicenda, copiando e pubblicando per intero in terza
pagina il pezzo di Eco per L'espresso, valorizzandolo con un
articolo di commento che di fatto sposa la sua versione, ma
cavandosela per quanto riguarda Arosio con uno sbrigativo
"risulta in ferie". Messa così, pare che Arosio l'abbia
fatta davvero grossa e sia pure scappato.

Non quadra la mancanza sul Corriere di un particolare:
l'assemblea di redazione di giovedì 15, messa al corrente
dell'intera vicenda per iniziativa dello stesso Arosio, gli
ha espresso senza eccezioni e senza tentennamenti la propria
solidarietà.

Una solidarietà niente affatto di maniera o di facciata o
di bottega, ma molto argomentata. Chi ha partecipato
all'assemblea preferisce non fare commenti di nessun tipo,
bocche chiuse a catenaccio, segno che ci devono essere state
critiche non leggere o a Eco o al direttore Daniela Hamaui o
più probabilmente a entrambi.

Ma che cavolo è successo "Quella sera da Inge" da avere
fatto infuriare così tanto Eco? Mettendo assieme quanto
scritto da lui stesso e quanto già noto tra addetti ai
lavori prima della tempesta , è successo che la signora
Inge Feltrinelli, angelo custode della omonima casa
editrice, ha organizzato per la sera dello scorso 28 aprile
una cena a casa sua invitando, tra gli altri, Eco, Grass e
Arosio. A quest'ultimo, che nel corso della cena ha fatto da
interprete tra gli altri due, la padrona di casa ha detto
chiaro e tondo che lo invitava perché poi facesse per
L'espresso un bel reportage della serata. Come in effetti
è poi avvenuto. Tutto lineare, semplice, chiaro e pulito.
Oltre che professionale.

Come si vede, siamo ben lontani dal poter dire, come ha
invece purtroppo scritto Eco, che "Arosio era stato
incaricato (non so da chi) di registrare artatamente (e tra
l'altro a memoria) le conversazioni ivi intervenute, come un
agente dei servizi deviati".

Se la padrona di casa non aveva avvisato Eco, che c'entra
Arosio? Assolutamente nulla, è ovvio. Ci si lamenta che si
sia affidato alla memoria anziché al registratore? Ma
Eugenio Scalfari si è sempre vantato, da tutti riverito e
da nessuno criticato, che lui era solito trasformare, anche
dopo vari mesi, i colloqui per esempio con Guido Carli in
testi a questi attribuiti. Perciò non si può neppure
accusare Arosio di non avere registrato o cartabollato il
tutto magari col notaio.

Ma allora dov'è il problema? Lo spiega Eco: il problema
è che Arosio ha pubblicato sì un ottimo reportage,
informato, saporito e diveretente, ma senza sostituire tutte
le parole ovviamente dette in libertà - come per esempio
"la Arendt scopava con Heidegger" - con termini più
paludati e, soprattutto, senza che qualcuno si peritasse di
verificare con il professor Eco almeno il virgolettato
attribuitogli.

Tutto qui? Tutto qui. Come si vede, un po' poco per dare del
"sicofante" e per parlare di "sfregio a una nozione
corretta e civile di giornalismo".

Nulla giustifica l'ingiustificabile accusa, lanciata due
volte, di comportamenti da "agente dei servizi deviati". Eco
è un grande intellettuale, ma qualcuno dovrebbe avvertirlo
che il reato di lesa maestà è stato abolito da un pezzo,
il delirio di onnipotenza può essere fuorviante e
l'Eco-centrismo non è detto sia una virtù. In quanto al
voler vedere prima il virgolettato, sorvoliamo: è meglio.

Restano da fare due considerazioni:

- E' molto amaro dover constatare che un direttore di Libero
come Vittorio Feltri difende a spada tratta un suo
giornalista come Renato Farina, colto con le mani nel sacco
dei servizi segreti veri, mentre invece il direttore
responsabile de L'espresso non solo non difende un suo
caporedattore da accuse immaginifiche come quelle lanciare
da Eco, ma addirittura lascia che siano messe per iscritto
sul suo giornale.

- Dato che c'è da rinnovare il Contratto nazionale di
lavoro giornalistico, forse è giunto il momento di
smetterla di applicarlo anche ai direttori, visto il punto
cui siamo arrivati.

Senza Bavaglio

 

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