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XXV Congresso Nazionale della Stampa Italiana

 

INTERVENTO DI Cristina Genesin

 

 

In un congresso è la strategia politica del sindacato che va definita, indirizzata sulla giusta strada.

Ed è la base – attraverso i delegati che ha espresso – a dover indicare i binari da percorrere, il sentiero su cui marciare.

Ma i problemi della base - concreti, quotidiani, destinati a incidere e a condizionare il lavoro di noi giornalisti – e mi riferisco
in particolare ai contrattualizzati che operano soprattutto nelle redazioni dei giornali locali – mi sembrano piuttosto lontani.
Dimenticati. Messi in un angolo.

Il lavoro al giornale diventa ogni giorno più difficile. Non solo è limitato alla ricerca delle notizie, alla verifica delle fonti. Ormai
il desk la fa da padrone e le carriere – dove ancora possibili – premiano chi opera nell’organizzazione del giornale, nella scelta
della gerarchia delle notizie e nella titolazione.

Qui le qualifiche a volte si sprecano.

I cronisti non hanno che poche speranze di carriera e la maggior parte resta a vita redattori ordinari.

“Gli editori – ci viene detto – non consentono più o limitano fortemente il riconoscimento di qualifiche come redattori esperti o inviati”.

Noi come sindacato dobbiamo pretendere che la qualità del lavoro sia valorizzata e riconosciuta.

I meriti vanno riconosciuti: in una recente occasione anche Montezemolo ha dichiarato che va sostenuta la meritocrazia.
E allora pretendiamola. Esigiamola.

 

Altro punto su cui sofferm.

L’introduzione delle nuove tecnologie ha calpestato la qualità della vita di noi tutti, in particolare di quanti lavorano nelle testate locali
(anche se appartenenti a gruppi importanti) dove non si opera certo con quella ampiezza di ricorse umane che sono la peculiarità delle
grandi realtà editoriali.

 

Fare il giornalista a Repubblica o al Corriere della Sera non è come lavorare al Mattino di Padova, al Corriere del Veneto, al Resto del Carlino,
al Gazzettino, al Tirreno, alla Gazzetta del Mezzogiorno, al Centro.

 

Anche nelle piccole realtà saranno introdotte o sono già state introdotte le nuove tecnologie: il giornalista deve fare la pagina nel sistema,
deve occuparsi del giornale online, deve aggiornare il sito web. In alcune testate quest’ultima attività spetta ai direttori che di regola hanno
delegato l’incombenza ad un caporedattore appassionato di Internet o magari solo deciso ad assumere un onere in più sperando in un
passo in avanti nella carriera. Aspettativa legittima.

Ma tutto questo pone un’ipoteca sul nostro futuro.

Temo che a breve si verifichi il momento in cui – a piccoli passi – ci ritroveremo improvvisamente strangolati da ulteriori nuovi compiti, con il
rischio anche di essere sempre più al servizio di logiche che con il giornalismo hanno poco o nulla a che fare.

Allora questo intervento è un invito ad un sindacato più vicino, più attento ai nostri problemi.

Ci sono grandi cambiamenti in atto e le spese più pesanti rischiano di pagarli i giornalisti delle testate piccole o locali.

I cambiamenti vanno orientati nella giusta direzione.

Ci vuole una controparte disponibile ad ascoltare (gli editori). E’ indubbio.

Ci vuole un sindacato calato nella vita quotidiana dei suoi iscritti.

Questo non è sempre avvertito dalla base.

La base manifesta e ha manifestato disaffezione al sindacato. Una crescente disaffezione.

Molti neoassunti non si iscrivono al sindacato, non ne avvertono la necessità: considerano il pagamento della quota una spesa inutile.

Colleghi più navigati non rinnovano l’iscrizione.

Altri si rivolgono al sindacato quando hanno bisogno di fare causa al datore di lavoro e da soli non potrebbero sostenere le spese legali.

Questo è emerso con chiarezza in occasione della campagna elettorale per la scelta dei delegati al congresso. (Campagna brevissima in Veneto
perché per impedire la presentazione di una lista alla componente Senzaglio, la maggioranza ha ridotto la raccolta delle firme per le liste a pochi
giorni. Poi un delegato lo abbiamo preso lo stesso e anche il primo dei non eletti: tutti e due ora sotto procedimento disciplinare per aver espresso
legittimo diritto di critica).

Oggi sempre più l’unico referente “sindacale” vero all’interno delle redazioni sono i CDR.

Perché succede questo?

E’ una domanda che dobbiamo avere il coraggio di fare a noi stessi con onestà intellettuale e senso di autocritica.

Bisogna essere calati nelle realtà dei giornali per fare bene il sindacato.

Bisogna saper cosa significa passare 10 ore al desk (e magari prima di fare desk essere stati anche a caccia di notizie) per fare bene il sindacato.

Bisogna tornare a lavorare in redazione.

Bisogna che i giornalisti tornino protagonisti del sindacato perché solo così potrà essere più forte e coeso.

Anche davanti agli editori.

 

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