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20/06/05



Referendum e débâcle mediatica
di Renato Ferraro

L'esito del referendum spinge a interrogarsi sul fallimento clamoroso del
sistema mediatico, che in maniera massiccia aveva spinto comunque a votare,
e prevalentemente a votare Sì.

C'è stato un errore nell'interpretare/comprendere gli umori della società, e
quindi eventualmente orientarli? Questa stampa autoreferenziale che ha
abolito le inchieste ha perso la capacità di capire il Paese?

Un peccato d'arroganza ("Noi diamo la linea e il popolo ci seguirà") che ha
infastidito?

Ha fallito forse il metodo della copertura prolungata e pletorica, il metodo
"ad nauseam", al quale si ricorre costantemente nella copertura di ogni
vicenda importante (o anche poco importante)? E' possibile che non ci sia
ancora accorti che il metodo ad nauseam produce solo nausea, disinteresse,
fastidio, disimpegno, menefreghismo? O forse questo è proprio lo scopo?

I quesiti referendari, si è detto, erano complicati. Di sicuro erano troppo
complessi per una opinione pubblica nutrita di fast food mentale, varietà,
pettegolezzi, talk-show idioti, una opinione pubblica capace d'assorbire
solo ragionamenti riassumibili in un paio di battute brillanti, una opinione
pubblica narcotizzata e trasformata in audience, rincitrullita dallo
zapping, restia a focalizzare l'attenzione per più di due minuti. In una
cultura del marketing e del consumo poi, le questioni referendarie non erano
nemmeno inquadrabili. C'era in ballo l'ultimissima moda, qualche cosa da
comprare? No. Posti di fronte a ragionamenti sulla vita e sulla famiglia, i
cittadini hanno preferito andare al mare (proprio come i direttori dei
maggiori quotidiani, c'informa il solito Dagospia). Una democrazia composta
da cittadini spettatori di varietà diventa una democrazia d'operetta.

Un altro possibile spunto: i media da qualche anno giocano sul sentimento
della paura (paura del terrorismo, della crisi economica, della
disoccupazione, della Cina, del riscaldamento globale, delle polveri
sottili, delle manipolazioni genetiche, eccetera eccetera). La paura fa
vendere copie, e distrae l'attenzione. La paura spinge a ragionare poco. La
paura induce a chiedere protezione da parte dello Stato, e quindi ad
amplificare i poteri dei governi, compreso il potere d'interferire nelle
vite private. Forse i cittadini hanno avuto paura di assumersi
responsabilità, paura di pensare con la propria testa? E anche paura di
aprire la strada, con un Sì, a manipolazioni genetiche?

C'è un'analogia con il caso delle ultime elezioni americane. La stampa era
in maggioranza favorevole a Kerry, e in maniera generale aveva sottovalutato
gli argomenti che hanno fatto vincere Bush. Altra analogia con la recente
batosta elettorale subita da Berlusconi, che pure nel mondo sviluppato è il
solo uomo politico a detenere il controllo delle tv.

I media, o meglio le industrie dell'informazione, fanno cilecca. Forse
perché, a forza di vendere baggianate, notizie fasulle, spettacolo, gossip,
hanno preso la strada del suicidio? Stanno perdendo ogni credibilità e,
insieme con il potere d'informare, il potere di orientare?

L'impero dei grandi media già al tramonto? Si va verso l'informazione à la
carte e polverizzata di internet e dei blog? Internet e le altre info tech
hanno consentito alle industrie dell'informazione & spettacolo d'integrarsi
verticalmente e orizzontalmente, creando giganteschi oligopoli planetari.
Però le stesse tecnologie permettono pure una organizzazione diffusa e
anarchica dell'informazione. Si può affacciare l'ipotesi che il progressivo
spostamento dell'umore sociale mondiale, già in corso, dal polo della
convergenza e distensione verso il polo della divergenza e conflittualità
manderà in crisi gli oligopoli, voci dei padroni. E' pure noto che ogni
tecnologia crea i propri disastri specifici, e che ogni eccesso stimola gli
eccessi contrari.

Ricollegandosi anche al No francese nel referendum sulla costituzione
europea, esiste forse una tendenza generale a dire No all'establishment,
includendo nell'establishment (e a buon diritto) i media?

(Pensando ai nostri bassi interessi di categoria, una prospettiva di questo
genere non apre certo prospettive esaltanti per stipendi e posti di lavoro.
Perché un imprenditore dovrebbe mettere soldi in una fabbrica d'informazione
che "non funziona"? Non gli converrebbe anzi venderla a qualunque
odontotecnico con le tasche zeppe di miliardi?).

Si può azzardare ancora una ipotesi, estrema: i grandi media che (per conto
dei padroni del vapore) avevano la missione di strutturare, organizzare,
allineare la società, sono forse passati a una missione diversa:
destrutturate, disorganizzare, confondere? Per creare un vuoto, dal quale
possa sorgere un "ordine nuovo"?


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