ORDINE/Da PR a giornalista, la commistione è servita
(di Luisa Espanet e Simona Fossati)
25/09/06
Accade anche questo. Mentre i giornalisti organizzano scioperi per far
sedere gli editori al tavolo delle trattative di un contratto scaduto da 575
giorni, avanza un esercito di nuovi giornalisti.
Sono i Public Relations women & men. Sicuramente seri professionisti e
ottimi comunicatori, ma giornalisti no.
In continuazione si incontra qualcuno che con un bel sorriso stampato sulle
labbra annuncia entusiasta: “Sai, sono diventato/a giornalista!”.
Il primo allarme scatta qualche tempo fa. Un giornalista arriva una mattina
negli uffici dell’Ordine della Lombardia e incontra una PR che conosce bene:
“Come mai sei qui?” chiede il collega sorpreso.
“Sto facendo l’esame da giornalista!” risponde la PR con orgoglio.
“L’esame da giornalista?”, incalza. “Sì, ho passato lo scritto e ora faccio
l’orale”.
Il giornalista allibito e senza parole, gira lo sguardo e, come in un film
dell’orrore, vede altri addetti alle pubbliche relazioni con cui ha spesso a
che fare come controparte. Sono tutti pronti a sostenere un esame che – sono
convinti – apre le porte di un nuovo “Paradiso”. Ma di che esame si tratta?
Loro credono sia la prova di idoneità professionale, mentre invece è solo
il test finale del mini-corso per far diventare pubblicisti gli addetti
stampa.
Allora, chi all’Ordine Lombardo e Nazionale, ha inventato e avallato il
“Corso per addetti stampa” aperto anche alle aziende, si rende conto di aver
legalizzato la commistione pura? Ci si è posto il problema del rapporto tra
giornalisti e comunicatori? Lo sanno all’Ordine che sono due mestieri
diversi, spesso antagonisti?
Non vogliamo fare dietrologie. Ma, evidentemente, gli euro che
arricchiscono le casse dell’Ordine “valgono bene” un tesserino rosso dato a
chiunque.
E a proposito di tesserino rosso, è il caso di ricordare ai colleghi
giornalisti, quelli che la professione la esercitano veramente, che tutti,
ma proprio tutti gli iscritti al nostro Ordine, oggi hanno il tesserino
dello stesso colore, rosso.
Perché non si può dimenticare che anni fa, proprio in Consiglio Nazionale
dell’Ordine, ci fu un bel colpo di mano capitanato da Mimmo Castellano
(Napoli) e Gino Falleri (Roma). A conclusione di una lunga riunione di
Consiglio, senza numero legale e con la connivenza dell’allora dirigenza,
fecero approvare dalla maggioranza dei quattro gatti rimasti in sala poche
righe che decretavano tesserino rosso uguale per tutti. Guarda caso la
maggior parte dei presenti erano pubblicisti, di solito i primi ad
andarsene.
Ora ci si chiede se al prossimo Consiglio dell’Ordine Nazionale (a Roma i
primi di ottobre) qualche giornalista professionista spinto da un moto di
orgoglio, vorrà imporre con i “sistemi” di Castellano e Falleri, un
tesserino di un colore completamente diverso per tutti coloro che escono dai
Corsi dell’Ordine per addetti stampa. Per differenziarsi bene.
Naturalmente una delibera con effetto retroattivo. Come fu per il tesserino
rosso che costò alle casse dell’Ordine molto di più di quello che costerà
oggi dare ai pubblic relations-presunti-giornalisti un nuovo tesserino.
Luisa Espanet e Simona Fossati
Senza Bavaglio