Un Incidente Aereo Ha Portato Via Antony Mitchell
10/05/07
Non sono solo le pallottole che ammazzano in Africa. Anthony Mitchell, corrispondente dell’Associated Press a Nairobi è morto sull’aereo della Kenyan Airways che si è schiantato in Camerun. Ci siamo incontrati spesso sul campi di lavoro del continente. Un anno e mezzo fa era stato espulso dall’Etiopia dove era corrispondente, per aver scritto articoli di fuoco contro il regime.
A metà del dicembre scorso siamo stati assieme a Baidoa, in Somalia. Ci siamo incontrati in partenza all’aeroporto e siamo ritornati assieme sullo stesso volo.
A metà del soggiorno sono andato a trovarlo nel suo albergo, l’Oriental, una fetida topaia dove lui e i suoi colleghi dormivano su un materasso sbattuto per terra in una stanza senza finestra ma con solo una feritoia. Sul loro giaciglio pendeva una lurida zanzariera piena di buchi. “E’ proprio uno schifo”, gli dissi e lui mi invitò dare un’occhiata al bagno. Il water era nero e incrostato, il lavandino con un’inquietante striscia di calcare che sottolineava lo scolo del rubinetto. “Per fare la doccia è meglio mettere lo scafandro”, scherzò.
Gli segnalai che c’era un albergo decente un po’ fuori dall’abitato. Mi rispose che il loro posto era lì, in quello schifo, ma in centro città.
Io abitavo nella una casa di un’organizzazione italiana in condizioni un pochino migliori (a parte il tappeto di scarafaggini che ogni sera si distendeva sul pavimento incurante di chi lo calpestava con un angosciante crack-crack). Soprattutto avevamo un terrazzo da cui la notte, solo al chiar di luna perché non c’era elettricità, potevamo intravedere i movimenti dei mezzi militari etiopici.
Era venuto a trovarmi durante uno splendido tramonto e gli avevo mostrato quella “postazione privilegiata”. Sorseggiando una Coca Cola avevamo affrontato i problemi del nostro lavoro: avevamo parlato di paura di attentati, di essere accoltellati al mercato o del pericolo, in caso di battaglia, delle pallottole vaganti. Non ci aveva però sfiorato l’idea di morire in un incidente aereo.
Ci eravamo poi trovati sul volo di ritorno e avevamo scambiato due chiacchiere sulle difficoltà di lavorare in posti sfigati come la Somalia, il Congo, la Nigeria. Avevamo concordato che, al di là dei pericoli, quello da cui stavamo uscendo era il posto logisticamente più difficile da sopportare.
Era il 19 dicembre. Mi raccontò che una soffiata dall’ambasciata americana aveva avvisato l’Associated Press che l’offensiva militare degli etiopici contro le corti islamiche al potere a Mogadiscio era imminente.
Anthony era un collega leale e di grande esperienza. Una grave perdita per tutta l’Associazione del Corrispondenti Stranieri dell’Africa Orientale. Ci mancherà parecchio. Per il suo humour un po’ cinico, corredato da una sonora risata, o per parlare – non azzeccando mai le previsioni, naturalmente – dei destini di un continente forse senza un immediato futuro.
Anthony lascia la moglie Catherine e due figli piccolissimi: Tom, tre anni, Rose, di uno.
Massimo A. Alberizzi
Mitchell Family Statement
From Catherine Fitzgibbon, Anthony's wife, his sister Jackie Jotischky and parents John and Jackie Mitchell:
“We are all devastated, Anthony was a fantastic father, husband and son.
He was the life and soul of every party with a wonderful dry wit and a great sense of humour. He lived life to the full and died doing the job he loved.
He was a brilliant, intrepid journalist, who was committed to Africa.
He developed a real passion for Ethiopia, where he worked for several years, before his persistent exposures of the government's abuse of human rights resulted in him being expelled by the government and we moved to Kenya. But where ever he has worked in the world he has made new friends and earned respect for acts of personal kindness and his professional integrity”.