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Gianfranco Cozzi, schietto leale coraggioso

Ho incontrato Gianfranco Cozzi per la prima volta all?inizio degli anni '70
nel bar di Cesare Cremoni, in via Turati a Milano. Cesare può considerarsi
l'inventore dei panni d'autore, prima di lui solo toast e focaccine, al
massimo farcite.
Gianfranco si avvicinò e mi chiese: "Tu fili con la Donata"? "Sì", gli
risposi. E lui di rimando: "Bene, anch'io".
Cominciammo a parlare della Donata e ci facemmo un altro paio di deliziosi
panini. Alla fine della conversazione la Donata restò sola e noi diventammo
amici.
Gianfranco era fatto così: esuberante, schietto, allegro e leale. Mai
arrabbiato anche quando raccontava che in Mondadori tanti suoi "amici"
tramavano per fargli le scarpe. Ci rideva su, prendeva tutto con semplicità,
anche se in fondo ne soffriva. E parecchio.
In quegli anni ci frequentammo con assiduità, studenti un pò squinternati.
Dopo la laurea io fui assunto al Corriere, lui, uomo dalla parlantina
sciolta e arguta tentò l'avventura delle televisioni private che
cominciavano allora. Enrico Gramigna lo portò a Teleciocco (diventata poi
Teleelafante). Andammo assieme al Ciocco perché voleva assolutamente
presentarmi Marilina Marcucci, di cui aveva un'ammirazione sfrenata.
Era la seconda metà degli anni '70 e assieme animavamo le notti della prima
e pionieristica Radio Radicale. Il direttore era Cesare Medail, scomparso
anche lui da poco. Facevamo una trasmissione tra il serio e il faceto
"Passeggiata con Rufus" (Rufus era il mio cane) durante la quale lui faceva
un'imitazione di Papa Montini che era uno spasso.
Entrò alla Mondadori come praticante e salì tutti i gradini fino a diventare
direttore di Auto Oggi. Senza amicizie altolocate (giornalisticamente
parlando) e senza padrini politici per arrivare a una direzione che
esercitava da tempo di fatto, dovette subire un bel pò di umiliazioni. Le
superò tutte grazie alla sua professionalità e al suo innato senso della
lealtà.
Lasciò la Mondadori quando scoprì, improvvisamente di essere malato. Me lo
disse al telefono con la semplicità e la schiettezza usuali: <Sai, ho il
cancro e presto dovrò morire>. In questi mesi ha affrontato il tumore con
grande coraggio e determinazione.
L'ultima dimostrazione di lealtà la manifestò poco prima delle elezioni del
sindacato, l'anno scorso. Gli chiesi di candidarsi con Senza Bavaglio. "Non
posso" rispose -. Ormai sono fuori e poi non voglio fare uno sgarbo ai miei
amici di Nuova Informazione. Al momento del voto avrebbe potuto dire a noi
che votava Senza Bavaglio e a Nuova Informazione che avrebbe votato per
loro. Invece no, disse: "Non scontento nessuno, vado in campagna e non vengo
a votare". Che differenza da quelli che promettono il voto a tutti!
L'avevo sentito la settimana scorsa quando, da casa di amici comuni dei bei
tempi, lo chiamammo per sapere come andava: "Ho una brutta flebite, ma
sopravviverò e la prossima settimana andrò il Liguria".
Ero convinto di poterlo rivedere dopo l'estate. E invece no. Sapevo che
prima o poi sarebbe successo. Ciononostante non riesco ancora a crederci.

Massimo A. Alberizzi



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