INTERCETTAZIONI/Clementina facci sognare
di Marco Travaglio
15/06/07
Oggi l’Unità non sarà in edicola per uno sciopero sacrosanto (gli editori
stanno cercando di far fuori il direttore Antonio Padellaro e di rimetter
mano al contratto di collaborazione di Furio Colombo). Dunque non uscirà
nemmeno la rubrica “Uliwood Party”. Chiedo ospitalità al sito per dire quel
che penso delle intercettazioni del caso Unipol.
Se in Italia non esistesse Berlusconi con la fairy band dei Previti e dei
Dell’Utri, ce ne sarebbe a sufficienza per chiedere le dimissioni di Massimo
D’Alema da vicepremier, di Piero Fassino da segretario dei Ds e di Nicola
Latorre da vicecapogruppo dell’Ulivo al Senato.
Quello che emerge dalle loro telefonate con Giovanni Consorte (e, nel caso
di Latorre, anche con il preclaro “compagno” Stefano Ricucci) ha un solo
nome: conflitto interessi, e dei più gravi.
Naturalmente tutto il dibattito è falsato dalla presenza in Parlamento di
Berlusconi e della fairy band, al cui confronto il gravissimo conflitto
d’interessi Ds-Unipol-coop rosse impallidisce.
Ma in un paese normale (espressione cara a D’Alema), nel quale dunque
Berlusconi & C. fossero già stati sbattuti fuori dalla vita pubblica, i
telefonisti rossi se ne dovrebbero andare su due piedi.
Fassino doveva incontrare il banchiere Luigi Abete (chissà perché, poi) e
non sapeva cosa dirgli: perciò chiedeva a Consorte di scrivergli i testi.
Poi si lamentava perché Chicco Gnutti era andato a una cena elettorale di
Berlusconi: credeva che anche lui fosse un “compagno”, solo perché aveva
partecipato all’orrenda scalata Telecom insieme a Consorte e Colaninno, e
osservava che Gnutti stava puntando sul cavallo sbagliato, il Cavaliere, che
prevedibilmente di lì a un anno avrebbe perso le elezioni.
Intanto Latorre amoreggiava con Ricucci, un tipo che Enrico Berlinguer non
avrebbe sfiorato nemmeno con una canna da pesca. Ci scherzava, lo trattava
da pari a pari, faceva il tifo per lui.
D’Alema, che com’è noto è molto intelligente, avvertiva Consorte delle
possibili intercettazioni telefoniche (“attenzione alle comunicazioni”)
parlandogli al telefono: una mossa davvero geniale, machiavellica, volpina.
Poi lo esortava ad “andare avanti” nella scalata alla banca romana,
abbandonandosi a un tifo da stadio (“facci sognare!”). E si occupava
personalmente della quota detenuta in Bnl da Vito Bonsignore, pregiudicato
per corruzione nonché europarlamentare dell’Udc.
Stiamo parlando dei tre massimi dirigenti de Ds che, due estati fa, negavano
spudoratamente di essersi occupati dell’Opa di Unipol alla Bnl, affermando
di essersi limitati a rivendicare il buon diritto dell’assicurazione delle
coop rosse a partecipare alla contesa bancaria. Latorre negava addirittura
di aver passato il suo telefono a D’Alema perché parlasse con Consorte.
I cavalli sui quali questi insigni statisti puntavano sono poi finiti tutti
sotto inchiesta per gravissimi reati finanziari. Ricucci addirittura in
galera e in bancarotta. Consorte e Gnutti hanno condanne non definitive per
insider trading. Se questa non è una gigantesca “questione morale”, come
solo Parisi, Di Pietro e pochi altri politici dissero fin dall’estate 2005,
non si sa proprio che cosa lo sia.
Ma, nelle reazioni del Botteghino alla divulgazione di brani di
intercettazioni, non c’è un’ombra di autocritica, di ripensamento, di
riflessione. Anzi si sentono e si leggono frasi copiate pari pari dalla
propaganda berlusconiana e craxiana: “veleni”, “attacco”, “operazione
scandalistica”, fughe di notizie”, “circuito mediatico-giudiziario”. Condite
con attacchi vergognosi alla giudice Clementina Forleo, che ha fatto
semplicemente il suo dovere, applicando una legge demenziale - la Boato -
varata da destra e sinistra amorevolmente a braccetto nell’estate 2003.
Se ieri, per tutta la giornata, sono usciti brandelli di intercettazioni, è
soltanto perché, con una decisione giuridicamente inedita quanto
discutibile, il vertice del Tribunale di Milano ha stabilito che gli
avvocati difensori degli 83 indagati del caso Antonveneta potessero soltanto
prendere appunti dalle centinaia di pagine di trascrizioni, ma non
prelevarne copia.
Se, come dovrebbe avvenire in un paese civile, e come infatti avviene in
America e in Inghilterra, gli atti giudiziari non più segreti venissero
messi integralmente a disposizione delle parti e anche della stampa, si
saprebbe tutto subito, e si eviterebbe di costringere i giornalisti a
pendere dalle labbra di questo o quell’avvocato, a fidarsi dei loro appunti
non certo completi né disinteressati. Chi è causa del suo mal, pianga se
stesso.
Ma qui non c’è alcun “attacco”, nessuna “operazione”, nessun “circuito
mediatico-giudiziario”. Si chiama, molto più semplicemente, “informazione”.
I cittadini da oggi sanno qualcosa in più delle scalate bancarie illegali
all’Antonveneta, alla Bnl e alla Rcs avviate dai furbetti del quartierino
sotto l’alta protezione dello sgovernatore Fazio, dell’allora premier
Berlusconi, dei vertici dei Ds, della Lega Nord e di Forza Italia (ci sono
anche i berlusconiani Cicu, Grillo e Comincioli, al telefono con Fiorani).
Ed è doveroso che sappiano, visto che su quelle telefonate il Parlamento
sarà chiamato molto presto a votare pro o contro l’autorizzazione a usarle
nei processi ai furbetti.
Invece il senatore-avvocato Guido Calvi, già difensore di Ricucci e di
D’Alema, nonché attuale difensore dell’ottimo Geronzi, dunque in pieno
conflitto d’interessi anche lui, dice cose assurde contro i giudici di
Milano e contro i giornalisti. Invoca interventi della Procura per
“bloccare” le notizie che doverosamente la libera stampa fornisce ai
cittadini. E chiede l’immediata approvazione al Senato della
legge-bavaglio-Mastella, già varata dalla Camera con maggioranza bulgara:
tutti i partiti affratellati, nessuno escluso.
I voti del centrodestra all’ennesima porcata non mancheranno: Berlusconi ha
già solidarizzato con D’Alema e D’Alema ha già solidarizzato con Berlusconi
per la splendida contestazione (uova a parte) subìta da Bellachioma a Sestri
Ponente.
E la Cdl ha già annunciato con non userà politicamente quelle telefonate,
onde evitare che a qualcuno, a sinistra, salti in mente di usare i
gravissimi reati della fairy band berlusconiana per rinfacciare finalmente
la questione morale alla destra.
Persino Veltroni perde la testa e vaneggia di “crisi del sistema
democratico”: ma non per il contagio del conflitto d’interessi che infetta
il maggior partito della sinistra, bensì perché è finalmente affiorato alla
luce del sole. Come se il problema non fosse ciò che i suoi compagni
dicevano al telefono con personaggi ben poco raccomandabili, nel pieno di
un’Opa e di una contro-Opa, in spregio alle più elementari regole del libero
mercato; ma il fatto che finalmente tutto ciò stia venendo fuori. Hai la
faccia sporca? Invece di andarti a lavare, dai la colpa allo specchio che la
riflette. E tenti di romperlo, lo specchio, per non vedere mai più la faccia
sporca. Che schifo.
Marco Travaglio